In un caldo pomeriggio di metà luglio un gruppo di cittadini invitati da MoveOn Italia in rappresentanza di varie organizzazioni della società civile si è ritrovato davanti al Senato per esprimere il proprio dissenso sulla riforma della Rai che il Governo vorrebbe far approvare dal Parlamento prima della chiusura estiva. Annunciata come la fine dell’invadenza dei partiti nella Rai in realtà la legge in discussione non si avvicina nemmeno lontanamente all’obiettivo. La nomina del Consiglio di Amministrazione resta saldamente nelle mani del Parlamento e del Governo, cioè dei partiti, e l’introduzione della figura dell’Amministratore Delegato rafforza questa dipendenza.
In realtà una riforma avrebbe dovuto ridefinire prima la missione del servizio pubblico e poi stabilire chi debba indirizzarlo e sorvegliarlo. Il collegamento logico tra rilevanza costituzionale del diritto all’informazione, esistenza di un servizio pubblico e di un’azienda pubblica che ha il compito di effettuarlo e affidamento dell’indirizzo e del controllo a un organismo di vasta rappresentanza della pluralità delle diverse istanze sociali, politiche, culturali del Paese dovrebbe essere evidente. Non lo è invece confidare soltanto nelle virtù manageriali di un Amministratore Delegato e di un Consiglio di Amministrazione, come se il problema del servizio pubblico esistente e di quello futuro, sui diversi media, richiedesse solo buone capacità gestionali sottoposte – peraltro- alla supervisione dei partiti e del Governo.
Tuttavia la riforma è ancora in discussione e bisogna tentare di modificarne alcune parti per cercare di introdurre alcuni indispensabili correttivi. Non è un caso, per esempio, che in tutto il testo non si citino mai i cittadini, gli utenti e le loro forme associative. Se c’è la volontà di migliorare il tempo c’è.